Pubblicato su La Palestra 2013
Qual è il modo corretto di smaltire le acque? E come evitare di incappare in pesanti sanzioni?
L’acqua della piscina è un sistema che viene continuamente modificato, dal punto di vista chimico e microbiologico, dall’apporto di inquinanti da parte dei bagnanti e dal trattamento chimico messo in atto per ridurre l’inquinamento a livelli accettabili per la salute dei bagnanti stessi. Come accade con i farmaci, i trattamenti indispensabili per evitare il proliferare delle contaminazioni batteriche producono sottoprodotti chimicamente dannosi, che vanno in qualche modo smaltiti o quantomeno diluiti.
Il ricambio periodico di acqua nella piscina ha soprattutto questo scopo, cioè ridurre la concentrazione di sottoprodotti chimici dannosi creati dall’immissione in acqua di cloro, acido, riduttori di cloro, antialghe, e altro.
Cosa prevede la normativa
A livello nazionale è in vigore la prescrizione contenuta nell’Allegato 1 dell’Accordo Stato Regioni 2003 “Accordo tra il Ministro della salute, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano relativo agli aspetti igienico-sanitari per la costruzione, la manutenzione e la vigilanza delle piscine a uso natatorio”, che prescrive: L’acqua delle vasche deve essere completamente rinnovata, previo svuotamento, almeno una volta l’anno e comunque ad ogni inizio di apertura stagionale.
L’acqua di riempimento e l’acqua di rinnovo delle piscine deve inoltre essere potabile, sempre secondo l’Accordo, sia che provenga da pubblico acquedotto che da pozzo privato (punto 1.2 dell’Allegato 1). Lo stesso Accordo prescrive, seppure in via indiretta, l’obbligo della installazione di un contatore volumetrico sull’acqua di approvvigionamento, poiché prevede che venga riportata sull’apposito registro la lettura quotidiana del contatore stesso (vedi punto 6.4).
In questo documento non vi è però nessun riferimento alla quantità di acqua minima da ricambiare.
L’entità del rinnovo d’acqua giornaliero di riferimento, che include l’acqua di reintegro, deve essere per lo meno il 5% della somma del volume d’acqua di vasca e del volume convenzionale della vasca di compenso. Qualora il risultato del calcolo di 30 l/d per bagnante effettivo, effettuato su periodi di tempo omogenei e rappresentativi, si discosti significativamente dal valore del 5% indicato sopra, il gestore in sede di protocollo di autocontrollo può stabilire un valore ridotto, comunque non minore del 2,5% e sempre nel rispetto dei valori dell’acqua di vasca indicati nel punto 5.1.3.
Tale prescrizione è stata ripresa da alcune leggi regionali, mentre altre regioni hanno semplicemente ripreso quanto prescritto dalla Norma UNI, lasciando quindi aperta la possibilità di modificare tale punto, cosa che è in atto in questi giorni nella Commissione Piscine dell’UNI, di cui la scrivente fa parte. La modifica, non ancora definita, sarà comunque nell’ottica di ridurre la parte di acqua che deve obbligatoriamente essere ricambiata.
La giusta quantità di acqua
Questo aspetto è di grande importanza per il gestore delle piscine ad uso pubblico, poiché da alcuni anni il costo dell’acqua potabile è aumentato in misura considerevole, così come quello del riscaldamento e del trattamento chimico. Ricambiare acqua quando non è necessario si rivela quindi un inutile spreco economico e ambientale, poiché non va dimenticato che l’acqua è una risorsa fondamentale per il pianeta, da utilizzare con parsimonia. Ci si trova quindi di fronte a due necessità contrastanti: ricambiare acqua per salvaguardare la salute dei bagnanti e ridurre il consumo di acqua per salvaguardare le risorse ambientali e per non sprecare inutilmente denaro.
Qualunque manutentore di piscina che svolga coscienziosamente il proprio lavoro sa quanto sia indispensabile, per mantenere corretti i parametri chimico- fisici e microbiologici di una piscina, effettuare un corretto ricambio di acqua, ma la quantità di acqua ricambiata può variare moltissimo a seconda delle situazioni. Vi sono piscine piccole e molto frequentate che necessitano di un ricambio ben maggiore del 5% previsto dalla normativa, mentre altre vasche, pensiamo ad esempio a quelle molto grandi destinate prevalentemente all’attività agonistica, non ne hanno affatto la necessità.
Come risparmiare
Fermo restando l’obbligo normativo, comunque in evoluzione, come è possibile evitare di spendere troppo per effettuare il ricambio di acqua necessario? L’unica strada percorribile è quella del recupero di energia termica e di acqua. Per quanto riguarda il recupero di energia termica è possibile far transitare l’acqua da ricambiare attraverso uno scambiatore di calore, ancor meglio una pompa di calore, affinché l’energia termica necessaria a riscaldare l’acqua che proviene dall’acquedotto sia sensibilmente ridotta. Molte delle apparecchiature oggi in commercio sono in grado di recuperare anche fino all’80% del calore. Il calore recuperato dall’acqua scaricata viene dato all’acqua fredda proveniente dall’acquedotto. La stessa acqua scaricata, una volta raffreddata, può essere stoccata in una vasca adiacente alla vasca di compenso, o ricavata in una parte di quest’ultima, ed utilizzata per il controlavaggio dei filtri, per il quale solitamente viene invece utilizzata acqua calda.
Tale accorgimento consente un notevole risparmio, come si può vedere dal calcolo riportato nel riquadro.
Un’altra possibilità di risparmio è quella di ottenere dal gestore del servizio idrico la riduzione o l’annullamento del costo di smaltimento almeno per la quota di acqua riguardante la vasca. Si tratta infatti di acqua pulita, che non necessita di alcun tipo di trattamento.
Facciamo un po’di conti
Costo medio acqua al metro cubo (compreso smaltimento: 1,2 euro)
Costo per il riscaldamento di un metro cubo di acqua (da 10 a 30 gradi):
Una caloria innalza di un grado centigrado un grammo di acqua.
Q=m*C*deltaT dove
Q=calore necessario
m= peso dell’acqua in gr (equivalente al corrispondente in volume, per l’acqua)
C=1cal/(°C*g) (calore specifico dell’acqua)
deltaT = °C di salto termico
Quindi, per innalzare di 20 °C un metro cubo di acqua (equivalente a 1000 litri):
Q= 1.000.000.000 x 1 x 20 = 20.000.000 calorie, pari a 20.000 Kcal
Una volta ricavate le calorie bisogna trasformarle in metri cubi di metano e qui entrano in gioco l’efficienza della caldaia e il potere calorifico del metano.
Generalmente un metro cubo di metano genera 8250 kCal, quindi per scaldare la nostra acqua serviranno 2,4 metri cubi di metano. Se la caldaia ha un rendimento del 70% bisognerà ulteriormente correggere e quindi serviranno 2,4 / 0,70 = 3,4 metri cubi, pari a circa 1,7 euro.
Buttare un metro cubo di acqua riscaldata, in piscina costa quindi circa 3 euro.
Rossana Prola