Pubblicato su La Palestra il 23 gennaio 2014
Come sono strutturati i percorsi di formazione per i lavoratori dedicati alla sicurezza? E quali lacune presentano?
L’Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011 prevede l’obbligo di formazione per tutti i lavoratori, indipendentemente dalla tipologia contrattuale con la quale essi vengono impiegati e dalla tipologia di azienda.
Ciò significa che anche le associazioni sportive, oltre naturalmente alle società, sono tenute a rispettare tale obbligo, anche a favore dei collaboratori sportivi e persino dei volontari. La scadenza ultima entro la quale andava portata a termine la formazione obbligatoria dei lavoratori era quella del 26 gennaio 2013.
La mancata formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti comporta per il datore di lavoro l’arresto da due a quattro mesi o l’ammenda da 1.200 a 5.200 euro. Si tratta quindi, come è facile comprendere, di un obbligo dal quale non è possibile derogare.
Come si svolge la formazione
Il percorso formativo si articola, per ciascun lavoratore, in una prima parte di formazione generale e in una seconda parte di formazione specifica in base alla mansione svolta. La prima fase di formazione generale è uguale per tutti i lavoratori, non entra nel merito della specifica mansione svolta e deve avere una durata minima di 4 ore. La seconda parte invece riguarda la specificità della mansione e ha una durata variabile da 12 ore (rischio alto), 8 ore (rischio medio) e 4 ore (rischio basso). La formazione di ogni singolo lavoratore deve avvenire entro 60 giorni dall’assunzione. È necessario inoltre istituire un percorso di aggiornamento periodico, consistente in almeno 6 ore distribuite in 5 anni.
Dubbi di interpretazione
Quando si parla di sicurezza dei lavoratori è sempre inutile ogni polemica, poiché quello della salvaguardia della salute deve essere sempre il primo obiettivo di ogni istituzione e di ogni azienda. Nel caso specifico delle “aziende” del fitness e delle piscine, però, sorgono alcuni dubbi interpretativi di non facile risoluzione. Il più sentito è quello legato al forte turn-over dei collaboratori, che spesso non operano continuativamente e per periodi di tempo sufficienti a giustificarne la formazione. Inoltre gli stessi soggetti potrebbero prestare la propria opera per diversi committenti, ma per un tempo simile per ognuno di essi. A chi spetta la formazione di un istruttore di fitness, ad esempio, che lavora in tre palestre diverse per lo stesso numero di ore ognuna? E la formazione specifica dello stesso soggetto può essere effettuata da uno solo dei suoi committenti? Ragionevolmente si può supporre di sì se la mansione resta la stessa, ma se cambia? Nel caso in cui ad esempio lo stesso soggetto svolga la funzione di istruttore di sala pesi presso una palestra e quello di istruttore di hydrobike presso una piscina? Il rischio specifico, in questo caso, è sensibilmente diverso. Questo soggetto potrebbe quindi seguire due percorsi di formazione specifica, ognuno con un diverso datore di lavoro: ma a chi spetta la formazione generale, che avrebbe gli stessi contenuti? L’Accordo prevede che si acquisiscano crediti formativi che possono essere mantenuti validi nel caso in cui si cambi lavoro o si lavori per più committenti. Poiché però ogni datore di lavoro ha l’obbligo di formare tutti i propri lavoratori, questo istruttore-tipo seguirà presumibilmente tre percorsi di formazione completi, per un totale di almeno 24 ore!
Da questa considerazione ne segue a ruota un altra: CHI paga? Nel senso che un istruttore retribuito ad ore, magari a partita iva, non pagherà certo la formazione di tasca sua, ma sarà comunque impegnato per otto ore del suo tempo, che non potrà dedicare ad un lavoro retribuito. Gli verranno rimborsate queste ore, considerando che per il datore di lavoro la formazione è un obbligo e non una facoltà?
Problemi organizzativi
Un altro aspetto di tipo organizzativo di difficile soluzione è quello relativo al momento in cui tenere i corsi, considerando il fatto che centri fitness e piscine non hanno praticamente mai giorni di chiusura e sono aperti per circa 12 ore al giorno. Per non interrompere l’attività è necessario organizzarne più di uno, con orari diversi, con conseguente innalzamento dei costi da parte del datore di lavoro.
Ancora, il datore di lavoro deve stabilire la tipologia di rischio della mansione specifica ed in base a questa la relativa formazione. In generale la collaborazione prestata presso aziende che si occupano di sport, soprattutto se costituite sotto forma di associazione, viene considerata a rischio basso, ma vi sono alcune mansioni che comportano un rischio decisamente più alto. Pensiamo ad esempio al manutentore di una piscina, oppure all’assistente bagnanti che magari occasionalmente scende in sala macchine. Lo stesso istruttore di nuoto ha un indice di rischio maggiore rispetto all’istruttore di fitness, trovandosi ad operare in un ambiente a rischio annegamento.
Ribadiamo che spetta al datore di lavoro stabilire il rischio per il singolo lavoratore e che se questa valutazione risultasse palesemente errata, naturalmente in difetto, la responsabilità ricadrebbe interamente su di lui. Viste le non poche difficoltà nell’applicare una norma il cui intento è senza dubbio quello di salvaguardare la salute dei lavoratori, ai gestori dei centri fitness e delle piscine converrebbe trasformare il problema in opportunità e cioè approfittare di questi momenti formativi per creare e consolidare quelle abitudini di sicurezza sul lavoro che nel nostro settore vengono troppo spesso disattese.
Per fare ciò è necessario che chi tiene i corsi sia una persona se non esperta quanto meno informata dei rischi specifici del settore, che dovrebbe essere affiancata dal datore di lavoro che lo aiuti a redigere una sorta di “manuale di buone pratiche” da far seguire ai lavoratori.
Corsi generici senza relazione stretta con l’ambiente di lavoro possono apparentemente risultare più economici, ma la loro inutilità ed il tempo perso invano li renderà senza dubbio del tutto controproducenti.